di Barbara Baroni
Ringraziamo il Palazzo Te e l’Organizzazione della mostra “Arte e Desiderio” che abbiamo visitato grazie al loro cortese contributo stampa e vogliamo approfondire il nostro servizio fotografico sulle opere maggiori di tale esposizione con delle note che spaziano dalla biografia alla poetica dell’erotismo innalzata dal sentimento del bello e portata alla musica, alla poesia ed alla nascita di un entourage coltissimo e raffinato nella Corte gonzaghesca seguito da un declino che non ha intaccato i capolavori del magister Julius Romanus.
Fu progettata dall'architetto romano Giulio Romano come sua residenza ed è uno dei primi esempi di edifici progettati da un artista per se stesso, una sorta di autobiografia in forma di edificio. Gli architetti del periodo manierista, con opere di questo genere, volevano quindi, sia innalzare il proprio status sociale sottraendolo al concetto di artigiano da bottega e portandolo alla statura di intellettuale e nobile, sia mostrare pubblicamente le proprie capacità artistiche ed il proprio programma estetico, in una sorta di opera-manifesto.
Giulio Romano realizzò la sua residenza in Contrada Larga a partire dal 1544, dopo essersi stabilito ed affermato a Mantova al servizio dei Gonzaga. Lo fece ristrutturando edifici esistenti e rielaborando una tipologia di palazzo che era stata sviluppata a Roma da Bramante (palazzo Caprini del 1508-10 di Bramante, poi andato distrutto) e da Raffaello e che prevedeva un basamento bugnato con sovrapposto un ordine completo. Qui l'ordine non è architravato bensì archivoltato ed il bugnato, ridotto ad elemento quasi grafico, dilaga per tutta la facciata, quasi inglobando il rarefatto ordine tuscanico, le cui lesene appena rilevano dalla superficie vibrante della pietra bocciardata. Giulio Romano dà sfoggio di altre invenzioni sorprendenti come la cornice che si spezza per formare il timpano incompleto, sull'ingresso al palazzo, oltre a riproporre elementi del proprio stile come le finestre ad edicola (con timpano) circoscritte da archi. Sull'ingresso una nicchia ospita una statua di Mercurio (originale marmo classico restaurato da Primaticcio), e sopra i timpani delle finestre vi sono dei mascheroni di tipico gusto manierista. Alcuni ambienti interni furono affrescati dall'artista. Resta conservato il salone centrale con camino originale dell'epoca ed affreschi di Giulio Romano e aiuti. L'edificio subì un intervento nel 1800 per mano dell'architetto Paolo Pozzo e l'aspetto attuale è sicuramente diverso da quello che descrive Vasari che lo vide durante una sua visita a Giulio Romano e che parla di una "facciata fantastica, tutta lavorata di stucchi coloriti.
Approfondimenti
Giulio Pippi detto Giulio Romano (Roma, 1499 ca. - Mantova, 1546)
Biografia
1499 ca. Giulio Pippi nasce a Roma.
1516 ca. Diventa allievo di Raffaello.
1520 Muore Raffaello e Giulio assume la conduzione della bottega del maestro. Nello stesso anno l'artista progetta la sua prima opera da architetto, Palazzo Adimari Salviati a Roma. In questi anni dipinge molte Madonne che derivano dall'arte di Raffaello come la Madonna Hertz e la Madonna col Bambino degli Uffizi.
1524 ca. Realizza i “Modi”, i famosi disegni a soggetto erotico che suscitano scandalo a Roma. L'anno seguente Marcantonio Raimondi, che aveva realizzato delle incisioni partendo dai “Modi” di Giulio, viene imprigionato per qualche tempo ma è poi liberato su pressione degli artisti e degli intellettuali della corte pontificia.
1524 Termina la Lapidazione di santo Stefano che era stata assegnata a Raffaello: alla sua scomparsa Giulio aveva ereditato l'incarico. Nello stesso anno lavora alla sala di Costantino nei palazzi Vaticani e viene poi chiamato a Mantova da Federico Gonzaga.
1526 Iniziano i lavori di Palazzo Te, il massimo capolavoro di Giulio Romano. Nello stesso anno l'artista viene nominato prefetto generale delle fabbriche.
1528 Termina la realizzazione della Camera di Psiche in Palazzo Te.
1529 Matrimonio con Elena Guazzi.
1532 Giulio inizia la decorazione della Sala dei Giganti in Palazzo Te: sarà terminata due anni più tardi.
1535 Primo di una serie di viaggi a Ferrara dove Giulio lavora per Ercole II d'Este per la risistemazione di alcuni ambienti nel palazzo dei duchi.
1536 Inizia la decorazione delle sale in Palazzo Ducale. Nello stesso anno compie un soggiorno a Casale Monferrato.
1540 Viene incaricato dalla Confraternita della Steccata di Parma di continuare i lavori iniziati da Parmigianino nella chiesa di Santa Maria della Steccata. Nello stesso anno iniziano i lavori di ristrutturazione dell'abbazia di San Benedetto Po.
1542 Soggiorna a Vicenza dove conosce Andrea Palladio.
1545 Compie un soggiorno a Bologna. Nello stesso anno è incaricato di risistemare il Duomo di Mantova.
1546 Si spegne a Mantova il 1° novembre.
Relazioni
Allievo di: Raffaello
Guardò a: Rosso Fiorentino
Maestro di: Francesco Primaticcio - Giovanni Battista Bertani
Guardarono a lui: Tintoretto - Paolo Veronese - Giulio Campi - Antonio Campi - Francesco Salviati - Camillo Boccaccino - Dono Doni - Giovan Francesco Caroto - Michelangelo Anselmi - Bernardino Gatti - Domenico Riccio detto il Brusasorci
Principali mecenati e committenti: Federico II Gonzaga
"La nota" - rubrica a cura di Ambra Grieco
Giulio Romano alla corte dei Gonzaga
Immagini
Madonna con il Bambino (Madonna Hertz) (1522 ca.; Roma, Galleria Nazionale d'Arte Antica)
Madonna con il Bambino (1520-30 ca.; Firenze, Uffizi)
Madonna con il Bambino e san Giovannino (1518-23 ca.; Edimburgo, National Gallery of Scotland)
Lapidazione di santo Stefano (1524; Genova, Santo Stefano)
Camera dei giganti: vista; parete est; parete sud; parete nord; parete ovest; soffitto (1532-34; Mantova, Palazzo Te)
Camera di Psiche: vista; parete sud (Banchetto nuziale di Amore e Psiche); parete ovest; parete nord; parete est (i preparativi per il banchetto); Venere e Marte al Bagno; Bacco e Arianna; Marte caccia Adone dal Giardino di Venere; Giove e Olimpiade; Polifemo, Aci e Galatea; Pasifae e il toro (1526-28; Mantova, Palazzo Te)
Appartamento di Troia: vista complessiva; vista e soffitto (1536-40; Mantova, Palazzo Ducale)
Adorazione dei Pastori (1532-34; Parigi, Louvre)
Trionfo di Tito e Vespasiano (1537; Parigi, Louvre)
Ritratto femminile (1531 ca.; Windsor, The Royal Collection).
Non ne conosciamo la data di nascita, sappiamo che è figlio di Pietro Pippi e di Graziosa.
Il necrologio mantovano del 1 novembre 1546 fa risalire la data di nascita al 1449, mentre Vassari l'anticipa al 1442. L'appellativo "Giulio Romano" si afferma dopo il trasferimento a Mantova per ricordare la città d'origine. Entrato giovanissimo nella bottega romana di Raffaello, Giulio collabora ad opere del maestro, che gli affida il ritratto di Giovanna d'Aragona e un ruolo importante nell'impresa delle Logge Vaticane. Già negli anni romani, egli rivela una grande abilità grafica, raccogliendo inoltre, il lascito raffaellesco in campo architettonico.
Dopo la morte del maestro, nel 1520, Giulio completa il frammento tuttora esistente di Villa
Madama e realizza, insieme a Gian Francesco Penni, la Sala di Costantino in vaticano: egli si qualifica così come il più brillante erede della maniera raffaellesca. Agli anni romani risalgono molti quadri fra i quali la Pala Fugger a Santa Maria dell'Anima, la Lapidazione di Santo Stefano. Con la mediazione di Baldassarre Castiglione, Giulio si trasferisce nel 1524 presso la corte mantovana dei Gonzaga, ottenendo ben
presto il monopolio sulle imprese architettoniche e decorative. Realizza il Palazzo del Te (1525-1535), dirigendone i cicli di affreschi e stucchi; ristruttura e decora l'appartamento di Troia a Palazzo Ducale, dove progetta anche il Padiglione della Rustica. Nominato nel 1526 prefetto delle fabbriche gonzaghesche e superiori delle strade di Mantova, trascura i quadri da cavalletto, dedicandosi prevalentemente alla regia di una vasta bottega capace di tradurre rapidamente in stucchi e dipinti i suoi disegni. Dopo la morte del duca Federico II (1540), Giulio lavora per il reggente Cardinale Ercole Gonzaga. Fra gli anni trenta e quaranta, è attivo nella chiesa di San benedetto in Polirone, nella ristrutturazione del Duomo di Mantova, in quella della propria casa, mentre dà vita ad una serie di disegni per arazzi, dipinti, argenterie, monumenti, apparati, scenografie. La sua arte è apprezzata anche al di là delle Alpi: nel 1537 viene iniziato, su suo progetto, il palazzo italiano di Landshut, per Ludovico X di Baviera; i riflessi evidenti della maniera giuliesca si riconoscono a Fontainebleau, con la mediazione di Francesco Primaticcio e Sebastiano Serlio. Da Elena Guazzi, sposata nel 1529, Giulio ha i figli Virginia, Criseide e Raffaello che vende all'antiquario Jacopo Strada i disegni del padre.
La nota
2010, Diciannovesima puntata
Allievo preferito di Raffaello, Giulio Pippi, meglio noto come Giulio Romano, fu notato da Federico II Gonzaga che lo chiamò a Mantova nel 1524. Proprio alla corte dei Gonzaga l'artista passò il resto della sua vita, e Ambra con il suo articolo ci propone un ritratto di colui che diventò artista di corte nonché uno degli intellettuali di riferimento di Mantova durante la prima metà del Cinquecento.
Fra l'idillio di un'epoca ormai tramontata, il suo amore verso la cultura antiquaria riecheggia ancora oggi in ogni sua opera, in ogni tassello, mattone o complesso architettonico che il genio della sua mente seppe partorire, fra la dolce stima
e il sincero orgoglio di chi presiedeva il potere.
Tra un'idea e l'altra, un progetto ed una tanto attesa commissione, Giulio Pippi de' Jannuzzi divenne per Federico II Gonzaga un amico stimato, un interlocutore dall'intelligenza sopraffina che non esitava ad assecondare i gusti e le richieste di chi avrebbe potuto far maturare i frutti di un ingegno più unico che raro.
Pictor egregius e degno di un divino maestro, egli divenne in breve tempo vicario di corte ottenendo così la ben gradita cittadinanza mantovana dove, fra le infinite lusinghe di chi lo apprezzava, Giulio riuscì a far fiorire quella versatilità tanto riconosciuta quanto acclamata dal Goethe. Dichiarato superiore delle strade e prefetto delle fabbriche, fiero e sicuro di sé, egli divenne regista della vita di corte, memore in cuor suo dell'inestimabile bagaglio di esperienza appresa dal sublime maestro urbinate. Colmo d'amore, stima e profonda ammirazione, strano non fu quando un giorno, il Cardinale Ercole Gonzaga presentò l'artista a Vasari come vero "padrone" dello Stato gonzaghesco. E così, nel ritratto tratteggiato dal Vasari nelle sue Vite “egli fu dolcissimo nella conversazione, affabile, grazioso e tutto pieno di ottimi costumi che fu di maniera amato da raffael che se gli fosse stato figlio di più non avrebbe potuto amarlo”. Artista colto e sofisticato, testardo e bizzarro, seppe sfruttare al meglio la sua poliedricità per catturare l'occasione più unica che rara di un mecenatismo intelligente e ambizioso.
Egli infatti, non fu mai ostacolato nella sua libertà espressiva anche quando essa sembrava raggiungere stravaganti bizzarrie e sperimentazioni, frutto di una mente geniale come quella di Iulio, pictore Romano. E così, l'allievo preferito del divino Raffaello, amante e conoscitore di quel classicismo libero e molto più licenzioso rispetto alla cultura artistica del suo tempo, riscoprì senza timore, l'affascinante e mai tramontabile gusto antico trasformando l'effimero e fugace scintillio del denaro mantovano nello splendore di un'arte unica e solenne.
In occasione di una visita di Leonora d’Este a Padova nel 1561, il Tasso conobbe Lucrezia Bendidio, giovane appena quindicenne di nobile famiglia ferrarese, che si trovava allora al seguito della principessa estense, e che poi rivide a Ferrara nell’estate del 1562. Da questi incontri, contenuti nell’arco di poche settimane, dovette nascere una passione, priva però di ogni sviluppo effettivo, visto che la Bendidio andava in sposa nello stesso 1562 al conte Paolo Machiavelli. Il Tasso dedicò alla giovane una lunga serie di rime, a ripercorrere tutte le fasi di una storia amorosa, dall’innamoramento al distacco, entro un gioco consapevolmente letterario (né va dimenticato che la stessa Lucrezia avrebbe incarnato l’oggetto d’amore nel Ben divino, il canzoniere di Giovan Battista Pigna). Quando, a distanza di molti anni, il Tasso raccolse in sequenza le proprie rime amorose (silloge trasmessa nel ms. Biblioteca Apostolica Vaticana, Chigi L VIII 302), appunto alla sezione per la Bendidio riservò la parte inaugurale (T. Tasso, Rime, prima parte, tomo I, a cura di F. Gavazzeni e V. Martignone, Alessandria, Edd. dell’Orso, 2004).
Poco più avanti, nell’estate del 1563, durante un viaggio a Mantova, Tasso incontrò Laura Peperara, di famiglia mantovana, e se ne innamorò: anche questa passione rimase senza un esito concreto, ma produsse una lunga serie di rime, maggiormente dilatate nel tempo (il Tasso avrebbe, molti anni dopo, nel 1583, scritto versi per celebrare le nozze della Peperara). Da qui in avanti la vita passionale e sentimentale del poeta diviene misteriosa, se non al tutto inconsistente, come oscurata da una esclusiva dominante letteraria.
Le rime amorose
«Vere fur queste gioie e questi ardori / ond’io piansi e cantai con vario carme» (Rime, 1, 1-2): così si apre il sonetto inaugurale delle rime amorose del Tasso, a ribadire l’autenticità delle passioni cantate, negando l’aspetto di un esercizio in primo luogo letterario, che pure, a stare alle concrete vicende della biografia del poeta, sembrerebbe dominante. Costituito alla
metà degli anni ’80, il corpus delle rime d’amore comprende i componimenti per Lucrezia Bendidio e Laura Peperara, una larga sezione di rime stravaganti, e oltre un centinaio di rime composte ad istanza d’altri, amici e signori, secondo consuetudine tipicamente cortigiana cui anche il Tasso si adeguò. Non mancano, d’altra parte, rime di argomento amoroso anche nelle altre sezioni del vastissimo canzoniere tassiano, e tra le rime encomiastiche si leggono epitalami nei quali la lirica del Tasso raggiunge sorprendenti livelli di audacia e sensualità (Rime, 569). Nel complesso, comunque, le amorose si collocano sotto l’insegna della tradizione petrarchesca, e della rivisitazione condotta da Bembo, con una capacità tassiana di innovare non tanto in chiave tematica quanto soprattutto negli esiti di una eccezionale musicalità, come in una larga serie di splendidi madrigali. Questo uno dei più celebri (Rime, 324):
Qual rugiada o qual pianto.
quai lagrime eran quelle
che sparger vidi dal notturno manto
e dal candido volto de le stelle?
E perché seminò la bianca luna
di cristalline stelle un puro nembo
a l’erba fresca in grembo?
Perché ne l’aria bruna
s’udian, quasi dolendo, intorno intorno
gir l’aure insino al giorno?
Fur segni forse de la tua partita
vita de la mia vita?
Al lume de le stelle
Tirsi sotto un alloro
si dolea lagrimando in questi accenti,
"O celesti facelle,
di lei ch'amo ed adoro
rassomigliate voi gli occhi lucenti
luci serene e liete,
sento la fiamma lor mentre splendete".